
Immagine dal film "L'ultimo
Samurai"Il Samurai (侍)
era un
militare del
Giappone feudale,
appartenente ad una delle due
caste
aristocratiche
giapponesi,
quella dei guerrieri. Il nome deriva sicuramente da un verbo, saburau,
che significa servire o tenersi a lato e letteralmente
significa "colui che serve". Un termine più appropriato sarebbe
bushi (武士, letteralmente: bu significa "marziale";
shi
è l'unione tra il tratto basso orizzontale che indica il numero 1 e la
croce il 10: l'unione di questi due segni rappresenta la
conoscenza,
quindi colui che discerne tutto, l'illuminato) che risale al
periodo Edo.
Attualmente il termine
viene usato per indicare proprio la nobiltà guerriera (non, ad esempio,
gli
ashigaru o i
fanti, né i
kuge o
aristocratici di corte). I Samurai che non servivano un
daimyō perché era
morto o perché ne avevano perso il favore, o la fiducia, erano chiamati
Rōnin,
letteralmente "uomo onda", che intende libero da vincoli, ma
assume sempre un significato dispregiativo.
I Samurai costituivano
una casta colta, che oltre alle
arti marziali,
direttamente connesse con la loro professione, praticava arti
zen come il
cha no yu o lo
shodō. Durante l'era
Tokugawa persero gradualmente la loro
funzione militare divenendo dei semplici
Rōnin che spesso
si abbandonavano a saccheggi e barbarie. Verso la fine del
periodo Edo, i
Samurai erano essenzialmente designati come i burocrati al servizio
dello
Shōgun o di un
daimyō, e la loro
spada
veniva usata soltanto per scopi cerimoniali, per sottolineare la loro
appartenenza di casta.
Con il
Rinnovamento Meiji
(tardo
XIX secolo) la
classe dei Samurai fu abolita in favore di un
esercito
nazionale in stile occidentale. Ciò nonostante il
bushidō,
rigido codice d'onore dei Samurai, è sopravvissuto ed è ancora, nella
società giapponese odierna, un nucleo di principi morali e di
comportamento simile al ruolo svolto dai principi etici religiosi nelle
società occidentali attuali.

Etimologia
La parola "Samurai" ha
avuto origine nel periodo giapponese
Heian, quando era
pronunciata saburai, e significava "servo" o "accompagnatore". Fu
soltanto nell'epoca moderna, intorno al periodo Azuchi-Momoyama e al
periodo Edo del
tardo
XVI e
XVII secolo
che la parola saburai mutò in Samurai. Per allora, il significato
si era già modificato da tempo.
Durante l'era di più
grande potere dei Samurai, anche il termine yumitori (arciere)
veniva usato come titolo onorario per un guerriero, anche quando l'arte
della spada divenne la più importante. Gli arcieri giapponesi (vedi arte
del
kyūjutsu)
sono ancora fortemente associati con il dio della guerra
Hachiman.
Questi sono alcuni
termini usati come sinonimo di Samurai:
-
Buke 武家:
un appartenente ad una famiglia militare, un suo membro;
-
Mononofu
もののふ: termine arcaico per "guerriero";
-
Musha 武者:
abbreviazione di Bugeisha 武芸者, letteralmente "uomo delle arti
marziali";
-
Shi 士:
pronuncia sino-giapponese del carattere che comunemente si legge
Samurai;
-
Tsuwamono
兵: termine arcaico per "soldato", fatto celebre da un famoso
haiku di
Matsuo Basho;
indica una persona.

Le Armi
 I
Samurai usavano una
grande varietà di armi, anzi un'evidente differenza tra la cavalleria
europea e i Samurai riguarda proprio l'impiego delle armi, poiché i
Samurai non ritennero mai che esistessero armi disonorevoli, ma solo
armi efficienti ed inefficienti. L'uso delle armi da fuoco costituì una
parziale eccezione, in quanto fu fortemente scoraggiato durante il XVII
secolo dagli Shōgun Tokugawa, fino a proibirle quasi completamente e ad
allontanarle del tutto dalla pratica della maggior parte dei Samurai.
Nel
periodo Tokugawa
si diffuse l'idea che l'anima
di un Samurai risiedesse nella
Katana che
portava con sé, a seguito dell'influenza dello
Zen sul
bujutsu; a volte
i Samurai vengono descritti come se dipendessero esclusivamente dalla
spada per combattere. Raggiunti i tredici anni, in una cerimonia
chiamata Genpuku, ai ragazzi della classe militare veniva dato un
wakizashi e un
nome da adulto, per diventare così vassalli, cioè Samurai a tutti
gli effetti. Questo dava loro il diritto di portare un
katana, sebbene
venisse spesso assicurata e chiusa con dei lacci per evitare
sfoderamenti immotivati o accidentali. Insieme,
katana e
wakizashi vengono
chiamati
daishō
(letteralmente: "grande e piccolo") ed il loro possesso era la
prerogativa del
buke,
la classe militare al vertice della piramide sociale. Portare le due
spade venne vietato nel 1523 dallo Shōgun ai cittadini comuni che non
erano figli di un Samurai, per evitare rivolte armate, perché prima
della riforma tutti potevano diventare Samurai.
Un'altra
importantissima arma dei Samurai, cui erano connessi importanti riti
scintoisti, fu l'arco
(Kyudō
弓道) e non
fu modificata per secoli, fino all'introduzione della
polvere da sparo
e del
moschetto nel
XVI secolo. Fino
alla fine del XIII secolo anzi la via della spada (kendo) fu meno
considerata della via dell'arco da molti esperti di
bushidō.
Un arco giapponese era un'arma molto potente: le sue dimensioni
permettevano di lanciare con precisione vari tipi di proiettili (come
frecce infuocate o frecce di segnalazione) alla distanza di 100 metri,
arrivando fino a 200 metri quando non era necessaria la precisione.
Veniva usato
solitamente a piedi, dietro un tedate, un largo
scudo di legno,
ma poteva essere usato anche a
cavallo. La
pratica di tirare con l'arco da cavallo divenne una cerimonia
Shinto detta
Yabusame. Nelle battaglie contro gli invasori
mongoli, questi
archi furono l'arma decisiva, contrapposti agli archi più piccoli e alle
balestre usate
dai
cinesi e dai
mongoli.
Nel
XV secolo, anche
la
lancia (yari)
divenne un'arma
popolare. Lo yari tese a rimpiazzare il
naginata
allorquando l'eroismo individuale divenne meno importante sui campi di
battaglia e le milizie furono maggiormente organizzate. Nelle mani dei
fanti o ashigaru divenne più efficace di una
Katana,
soprattutto nelle grosse cariche campali. Nella battaglia di Shizugatake,
in cui Shibata Katsuie fu sconfitto da
Toyotomi Hideyoshi
(da allora anche noto come Hashiba Hideyoshi) i cosiddetti "Sette
Lancieri di Shizugatake" ebbero un ruolo cruciale nella vittoria.
Seppuku
切腹, è un termine giapponese che indica un rituale per il
suicidio in uso tra i Samurai. In Occidente viene usata più spesso la
parola
Harakiri 腹切り, a volte in italiano erroneamente pronunciato come karakiri,
con pronuncia e scrittura errata dell'ideogramma hara. Nello specifico,
però,
Seppuku e
Harakiri
presentano alcune differenze, qui di seguito spiegate.
La traduzione
letterale del termine
Seppuku è "taglio
dello stomaco", mentre per
Harakiri
è "taglio del ventre" e veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente
codificato, come espiazione di una colpa commessa o come mezzo per
sfuggire ad una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento
fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si
riteneva che il ventre fosse la sede dell'anima, e pertanto il
significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria
anima priva di colpe in tutta la sua purezza.
Alcune volte praticato
volontariamente per svariati motivi, durante il periodo Edo (1603–1867)
divenne una condanna a morte che non comportava disonore. Infatti
il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva
giustiziato ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita
praticandosi con un pugnale una ferita profonda all'addome di una
gravità tale da provocarne la morte.
Il taglio doveva
essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto. La
posizione doveva essere quella classica giapponese detta
seiza
cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò aveva
anche la funzione d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti
il guerriero doveva morire sempre cadendo onorevolmente in avanti. Per
preservare ancora di più l'onore del Samurai, un fidato compagno,
chiamato kaishakunin, previa promessa all'amico, decapitava il
Samurai
appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che il
dolore non gli sfigurasse il volto.
La decapitazione (kaishaku)
richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più
abile nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità o
emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze. Proprio
l'intervento del kaishakunin e la conseguente decapitazione
costituiscono la differenza essenziale tra
seppuku
e harakiri: sebbene le modalità di taglio del ventre siano analoghe,
nello harakiri non è prevista la decapitazione del suicida, e pertanto
viene a mancare tutta la relativa parte del rituale, con conseguente
minore solennità dell'evento.
Il più noto caso di
seppuku
collettivo è quello dei "47
Rōnin", celebrato nel dramma Chushingura, mentre il più recente è quello dello scrittore
Mishima Yukio avvenuto nel 1970. In quest'ultimo caso il
kaishakunin Masakatsu
Morita, in preda all'emozione, sbagliò ripetutamente il colpo di grazia.
Intervenne quindi Hiroyasu Koga che decapitò lo scrittore.
Una delle descrizioni più
accurate di un
seppuku è quella
contenuta nel libro Tales of old Japan (1871) di Algernon Bertram
Mitford, ripresa in seguito da Inazo Nitobe nel suo libro Bushido,
l'anima del Giappone (1899). Mitford fu testimone oculare del
seppuku
eseguito da Taki Zenzaburo, un Samurai che, nel Febbraio 1868, aveva
dato l'ordine di sparare sugli stranieri a Kobe e, assuntasi la completa
responsabilità del fatto, si era dato la morte con l'antico rituale. La
testimonianza è di particolare interesse proprio perché resa da un
occidentale che descrive una cerimonia, così lontana dalla sua cultura,
con grande realismo.
Anche all'interno di un
libro di Mishima Yukio,
Cavalli in fuga,
sono contenute numerose descrizioni di
seppuku compiute
da alcuni Samurai che tentano un'insurrezione per restaurare l'ordine
tradizionale in Giappone e reintegrare nella pienezza del proprio potere
l'Imperatore. Anche il personaggio principale compie il rito del
seppuku
all'ultima pagina del libro.
Nel 1889, con la
costituzione Meiji, venne abolito come forma di punizione. Un caso
celebre fu quello dell'anziano ex-daimyō Nogi Maresuke che si suicidò
nel 1912 alla notizia della morte dell'imperatore. Casi di
seppuku
si ebbero al termine della Seconda guerra mondiale tra quegli ufficiali,
spesso provenienti dalla casta dei Samurai, che non accettarono la resa
del Giappone.
Con il nome di Jigai, il
seppuku
era previsto, nella tradizione della casta dei Samurai, anche per le
donne; in questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla gola
dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte durante
l'agonia. Anche di ciò è presente una descrizione nel citato libro di
Mishima, Cavalli in Fuga.
L'arma usata poteva
essere il tantō (coltello), anche se più spesso, soprattutto sul campo
di battaglia, la scelta ricadeva sul
wakizashi,
detto per questo guardiano dell'onore, la seconda lama (più
corta) che era portata di diritto dai soli Samurai.

I precetti di un Samurai
il BushiDō

Il Samurai
Miyamoto Musashi.
I Samurai seguivano un
preciso codice d'onore, chiamato
Bushidō (via
del guerriero), la più famosa opera che lo sintetizza è l'Hagakure
di
Yamamoto Tsunetomo
(1659-1721).
Non bisogna però ritenere che il Bushidō praticato nelle diverse epoche
in cui vissero i Samurai fosse sempre attinente ad un medesimo codice
d'onore, privo di modifiche o di differenze. Per esempio l'Hagakure
è sostanzialmente diverso e confliggente in molte parti con un'altra
celebre opera sul Bushidō, scritta poche decine di anni prima, il "Libro
dei cinque anelli" di
Miyamoto Musashi.
Infatti il concetto di onore dell'Hagakure è basato sull'accettazione
della morte e sull'obbedienza cieca al proprio signore, mentre Musashi
lo lega alla ricerca dell'auto perfezionamento, e alla completezza
culturale e filosofica. Si noti che Musashi non era un "vero"
Samurai ma
un bushi, rifiutandosi per tutta la
vita
di prestare servizio ad un signore giurandogli fedeltà, rimanendo sempre
indipendente; una pratica normale nel XV e XVI secolo, ma eccentrica nel
XVII, e considerata con sospetto negli ambienti culturali affini a
quelli in cui fu redatto l'Hagakure. Inoltre Musashi si interessò
pochissimo dell'onore formale e l'etichetta, concentrandosi soprattutto
sull'onore sostanziale e personale.
L'Hagakure
è un libro scritto, in un'epoca di
pace, per creare
un Samurai perfetto, a partire dal suo obbligo di servire il proprio
padrone e il suo onore, con la propria
spada e con la
propria vita, il Libro dei cinque anelli, al contrario, punta a creare
un perfetto Samurai facendolo divenire un uomo completo o il più
possibile completo, ed inoltre pone molto l'accento sulla spiritualità
buddista
zen (e
marginalmente sul
buddismo
esoterico colto) ed alla preparazione filosofica, puntando a fare del
suo Samurai perfetto anche un uomo "buono" secondo i principi del
buddismo giapponese. Si noti che il Libro dei cinque anelli fu scritto
appena dopo la pacificazione del
Giappone, da un
simpatizzante per la fazione sconfitta, e quindi è molto meno "teorico"
e molto più pragmatico e figlio di combattimenti reali e non dispute
sull'onore. Forse non è un caso se l'Hagakure divenne un libro
importantissimo per il
nazionalismo
e il fascismo giapponese che
lo resero una lettura quasi obbligatoria all'interno dei loro circoli,
mentre il Libro dei cinque anelli conobbe una grande fortuna anche al di
fuori del Giappone, in ambiti culturali differenti.
I precetti dei Samurai
furono pesantemente influenzati dalle principali correnti spirituali e
culturali giapponesi. Verso il 1000 era ancora lo
Shintoismo la
principale fonte d'ispirazione per i Samurai, corrente che sottolineava
la fedeltà all'imperatore, in un'epoca in cui essere Samurai voleva
dire, innanzi tutto, essere un guerriero abile, ma successivamente
concetti taoisti, buddisti e confuciani iniziarono a diffondersi e a
sovrapporsi a questi. In particolare ebbero grande fortuna, dopo il
buddismo cinese, il buddismo zen e il buddismo esoterico (quest'ultimo
soprattutto nelle casate nobili più ricche e potenti, mentre il primo
anche a livello di piccole scuole e Rōnin).
In quest'epoca si diffusero molte scuole che associavano ai doveri del
Samurai l'obbligo di svolgere i propri compiti non solo al massimo delle
proprie capacità, ma con grazia ed eleganza, dimostrando attraverso il
gesto la propria superiorità, pratica che fu molto contestata nel XVI
secolo (quando riprese l'attenzione all'efficacia e non alla forma del
gesto), ma che è rimasta in molte scuole di pensiero Samurai.
I ruvidi guerrieri del
900 erano divenuti, prima del 1300, raffinati
poeti, mecenati,
pittori, cultori delle arti, collezionisti di porcellane, codificando in
molte opere di Bushidō (fino al Libro dei cinque anelli) la necessità
per un Samurai di essere esperto in molte arti, non solo in quella della
spada. La prima grande codificazione di questa svolta avvenne nel
Heike Monogatari,
opera letteraria più famosa del
periodo Kamakura
(1185-1249),
che attribuiva alla via del guerriero l'obbligo dell'equilibrio tra la
forza militare e la potenza culturale. Gli eroi di questa epopea (la
storia di una
lotta tra due clan, i
Taira e i
Minamoto) e di
altre che si ispirarono a questa negli anni immediatamente successivi,
sono gentili, ben vestiti, molto attenti all'igiene, cortesi con il
nemico nei momenti di tregua, abili musicisti, competenti poeti,
letterati talvolta particolarmente versati nella
calligrafia
o nella disposizione dei fiori, appassionati cultori del giardinaggio,
spesso interessati alla letteratura cinese. Inoltre morendo spesso
mettono in versi il proprio epitaffio.
Questa visione duplice
dei compiti del Samurai si affermò grandemente, fino a diventare
egemonica, Hojo Nagauji (o Soun), signore di Odawara (1432-1519), uno
dei più importanti Samurai della sua epoca scrisse nei "Ventuno Precetti
del Samurai": "La Via del guerriero deve sempre essere sia culturale che
marziale. Non è necessario ricordare che l'antica legge stabilisce che
le arti culturali dovrebbero essere rette con la sinistra, e quelle
marziali con la destra", in questo sottolineava una certa predominanza
per le arti marziali, ma da questo insegnamento trassero spunto numerosi
Samurai che divennero famosi tanto come spadaccini, quanto, e più, come
esperti della cerimonia del tè, o come artisti, attori di
teatro Nō,
poeti. Imagawa Royshun (1325-1420), grande commentatore dell'Arte della
guerra di Sun Tzu, nelle sue "Norme" si era spinto oltre, affermando che
"Senza conoscere la Via della cultura, non ti sarà possibile raggiungere
la vittoria in quella marziale", creando un nuovo concetto di equilibrio
tra cultura e guerra noto come bunbu ryodo ("non abbandonare mai le due
vie").
Lo stesso Miyamoto
Musashi, uno dei più grandi duellisti del XVII secolo (con 59 vittorie e
un pareggio o 60 vittorie e un pareggio entro i trent'anni, a seconda
delle fonti), divenne nella seconda parte della sua vita uno dei più
grandi pittori di quel periodo. Concordava con
Takeda Shingen (1521-1573),
forse il più brillante generale del XVI secolo, che affermava come la
grandezza di un uomo dipendeva dalla pratica di numerose vie.
Questo atteggiamento
ovviamente provocò tutta una serie di aspre critiche; in particolare si
ricorda l'avversione di Kato Kiyomasa (1562-1611)
per tutto ciò che non era marziale e la sua opinione, condivisa da molte
scuole "estremamente marziali", secondo la quale un Samurai dedito alla
poesia sarebbe
divenuto "effeminato" mentre un Samurai che avesse praticato il mestiere
dell'attore o si fosse interessato al
teatro Nō avrebbe
dovuto suicidarsi per il disonore che arrecava al suo nome. Correnti di
pensiero "estremamente marziali" e di rifiuto degli aspetti culturali
della figura del Samurai si diffusero notevolmente nei secoli
successivi. Questo fatto potrebbe sembrare paradossale per un'epoca di
pace (la Pax Tokugawa) durante la quale in piccoli
dojo
non solo si accettava l'etichetta ma anzi la si studiava a fondo; al
contempo però si intendeva anche ritornare al significato originario
dell'essere Samurai, il guerriero impavido; in questo contesto persino
l'Hagakure potrebbe essere stato considerato troppo "raffinato".
Inoltre le differenti
fonti d'ispirazione culturale cui erano soggetti i Samurai (scintoismo,
scintoismo esoterico,
taoismo, buddismo
cinese, buddismo della terra pura, buddismo zen, buddismo esoterico,
confucianesimo ufficiale cinese,
confucianesimo
dei glossatori giapponesi, epica classica giapponese) crearono scuole di
pensiero e di pratica molto differenti, con principi di vita talvolta
contrapposti o, più spesso, semplicemente complementari, anche grazie
alla grande attitudine al
pragmatismo e al
sincretismo della
cultura
giapponese.

Sakura
Il
Ciliegio
Oggi assunto a
simbolo di tutte le arti marziali, venne adottato dai Samurai
quale emblema di appartenenza alla propria classe.
Nell'iconografia classica del guerriero il ciliegio rappresenta
insieme la bellezza e la caducità della vita: esso, durante la
fioritura, mostra uno spettacolo incantevole nel quale il
Samurai vedeva riflessa la grandiosità della propria figura
avvolta nell'armatura, ma è sufficiente un improvviso temporale
perché tutti i fiori cadano a terra, proprio come il Samurai può
cadere per un colpo di spada infertogli dal nemico. Il
guerriero, abituato a pensare alla morte in battaglia non come
un fatto negativo ma come l'unica maniera onorevole di
andarsene, rifletté nel fiore di ciliegio questa filosofia.
Un
antico verso ancora oggi ricordato è:
花は桜木人は武士
Hana
wa sakuragi, hito wa bushi
Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero
ovvero:
come il fiore del ciliegio è il migliore tra i
fiori,
così, il guerriero è il migliore tra gli uomini.
Il Sakura era venerato. |
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Samurai famosi |
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Samurai
giapponesi in armatura con
diverse
armi inastate
(1880
circa). |
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Bibliografia
-
Leonardo Vittorio Arena,
Samurai: ascesa e declino di una grande casta di guerrieri,
Milano, Arnoldo Mondadori, 2002,
ISBN 88-04-51318-7.
-
Leonardo Vittorio Arena,
Il pennello e la spada. La via del Samurai, Milano, Arnoldo
Mondadori Editore, 2013,
ISBN 978-88-04-62699-2.
-
Thomas Louis, Tommy Ito e
Pamela Cologna, Samurai. Il codice del guerriero, Roma,
Gremese Ernesto, 2008,
ISBN 978-88-8440-543-2.
Fonte Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Samurai
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