Il saluto “REI” è un concetto fondamentale per tutte le Arti Marziali di origine giapponese in quanto espressione della cortesia, del rispetto e della sincerità. Il rituale del saluto è semplice nella sua forma esteriore, ma molto complesso nel suo aspetto interiore; è una presa di coscienza di se stessi, dei compagni, del Dōjō  e dell’arte che si sta per praticare e non deve mai diventare un automatismo, un’abitudine o un obbligo imposto dal Maestro.

Il praticante, attraverso il saluto, si predispone correttamente all’allenamento, che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti, è dunque un lavoro disciplinato, costante e diligente.

Questo è lo spirito della Via Marziale “Budō 武道”: l’umiltà è un atteggiamento che bisogna assumere nella vita, la prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione. Il primo gesto che viene insegnato ad un principiante è il saluto. All’inizio ed al termine della lezione, si effettua il saluto.

Gli allievi si dispongono tutti in fila, in ordine di grado dalla destra il più alto alla sinistra il più basso. Il Maestro si dispone davanti alla fila, il Senpai (l’allievo più alto in grado del Dōjō dopo il Maestro), sarà lui che comanderà il “Seiza“ (seduti secondo il metodo tradizionale giapponese), gli allievi udito il comando dovranno, uno dopo l’altro in ordine di grado, mettersi in Seiza per il saluto.

Solo al termine della lezione, e non obbligatoriamente, in posizione di Seiza il Senpai chiamerà il Mokuso (occhi chiusi per la meditazione).

Talvolta, durante il Mokuso (黙想), alla fine della lezione il Senpai recita ad alta voce i principi del Dōjō Kun, uno per uno, e gli allievi li ripetono ad alta voce con il seguente criterio:

  • Hitotsu, Jinkaku Kansei ni Tsutomuru koto
    Cerca di migliorare il carattere
  • Hitotsu, Makoto no Michi o Mamuru koto
    Percorri la via della sincerità
  • Hitotsu, Dorioku no Seishin o Yashinau koto
    Rafforza instancabilmente lo spirito
  • Hitotsu, Reigi o Omonzuru koto
    Osserva un comportamento impeccabile – Rispetto universale
  • Hitotsu. Kekki no Yù o  Imashimuru koto
    Acquisisci l’autocontrollo 

Significato del “Mokuso”

La mente deve essere sempre pronta e vigile, per questo durante il Mokuso, che origina dagli ideogrammi di Moku (黙=silenzio) e So (想=pensare), al contrario di ciò che molti credono e cioè che la meditazione serve a vuotare la mente (sia chiaro, in alcune situazioni è così). Mokuso significa invece diventare pienamente coscienti dei propri pensieri, aspirazioni e desideri. L’ideogramma So, infatti, contiene parti che significano “occhio e mente”, che messi insieme significano “guardare nel proprio cuore”.

Al comando "Mokuso Yame" del Senpai chiude la fase del Mokuso.

Secondo le circostanze vengono utilizzate forme di saluto, che possono essere riassunte come segue:

  • Shizen ni Rei - saluto allo spirito protettore del Dōjō, all’altare o agli antenati;
  • Shomen ni Rei - saluto verso il punto più importante del Dōjō: “Shomen”;
  • Shihan ni Rei - saluto ad un Maestro di grado molto elevato;
  • Sensei ni Rei - saluto al Maestro;
  • Senpai ni Rei - saluto verso l’allievo più anziano di grado;
  • Otagai ni Rei - saluto reciproco tra gli allievi praticanti.

Il Senpai inizia il saluto:

  1. Shomen ni Rei - saluto in avanti, rivolto al Maestro;
  2. Sensei ni Rei - saluto rivolto all’istruttore del Dōjō;
  3. Otagai ni Rei - saluto tra gli allievi.

Successivamente il Senpai comanderà il Kiritzu (alzarsi in piedi) e solo a questo punto gli allievi potranno alzarsi per iniziare o terminare la lezione, dal grado più alto a quello più basso. Quando si entra nel Dojo (la palestra) e quando si esce per qualsiasi ragione, è previsto che si saluti il Maestro ed i compagni, o comunque il Dōjō stesso con un breve inchino stando in piedi con le braccia lungo i fianchi, talloni uniti e punte dei piedi divaricate a 45 gradi “Musubi Dachi”. Se si arriva poi in ritardo all’allenamento, ci si mette in Seiza rivolti verso il Maestro e si attende il suo saluto, a quel punto si esegue il saluto tradizionale e si entra.

Se si deve abbandonare l’allenamento prima del termine, si chiede il permesso al Maestro, poi passando dietro a tutti e mai davanti, ci si porta verso l’uscita, ci si mette in posizione Seiza rivolti verso il Maestro e si attende il suo saluto, a quel punto si esegue il saluto e si esce.

Il saluto REI è un atto di rispetto nei confronti del nostro compagno, dell’avversario in combattimento, nel Dōjō, del Maestro e di noi stessi, il rispetto si manifesta attraverso una pratica attenta e corretta, ottenuta mediante il raggiungimento di un giusto atteggiamento mentale e spirituale (Zanshin).

Il saluto è quindi il rito con cui celebra, con un atto esteriore, un avvenimento interiore: il cambiamento di atteggiamento mentale. Il saluto scandisce l’inizio e la fine di ogni attività nel Dōjō e deve essere eseguito correttamente, la fretta dei movimenti e il rilassamento della posizione sono segni di un Karate superficiale privo di significato. La complessità simbolica del saluto implica, in senso posturale, l’allineamento perfetto del ventre, del busto e della testa, centri rispettivamente della volontà, dell’armonia e dell’intelletto. La posizione del saluto è inizialmente verticale ed esprime la Via Spirituale, si inclina poi orizzontalmente, ad indicare la Via Materiale; tanto più è profondo l’inchino tanto maggiore è il rispetto portato nei confronti di chi lo riceve. Dal punto di vista tecnico il saluto può essere collettivo o individuale, effettuato in piedi “Ritsu-Rei” o in ginocchio “Za-Rei”.

Al momento di entrare nel Dōjō bisogna salutare con un inchino discreto e sincero e lo stesso inchino deve essere eseguito ogni volta che i praticanti si pongono di fronte o eseguano un esercizio di forma “Kata”. Questo saluto è soprattutto impiegato all’inizio e alla fine di una lezione collettiva, Maestri ed allievi si testimoniano così il loro mutuo rispetto, oltre che impostare lo stato mentale nella condizione di Rei-No-Kokoro (礼の心 lo spirito del rispetto). Dalla posizione di Seiza è possibile la pratica della meditazione “Mokuso”, seguita nel più profondo silenzio per consentire il raggiungimento dell’armonia e della concentrazione; uno degli elementi essenziali di questa cerimonia si esprime nell’immobilità fisica e nel silenzio, che permette di spogliarsi delle proprie preoccupazioni e di farsi ricettivi agli insegnamenti impartiti dal Maestro.

Sempre dalla posizione di Seiza è quindi eseguibile l’inchino su pavimento di fronte a sé prima la mano sinistra e poi la destra con i palmi in basso e le dita serrate e rivolte leggermente verso l’interno senza sollevare i fianchi dall’incavo dei calcagni.

Non bisogna perderlo!
“Senza cortesia il valore del Karate va perso”
disse il Maestro Funakoshi Gichin.

Perché a piedi nudi?

Un elemento importante nel Karate è il fatto di svolgere a piedi nudi la lezione, questo ha motivazioni tecniche e formali, risponde ad esigenze pratiche ed è volto al conseguimento della massima efficacia. Ragioni fisiche: il piede è ricco di ricettori tattili che permettono di conoscere la conformazione del suolo senza interventi della vista; la struttura ossea del piede è arcuata cosi da restare parzialmente sospesa sul piano di appoggio. L’adattamento alle caratteristiche del suolo viene avvertito dai recettori di tensione dei tendini e delle articolazioni: il corpo risponde cosi alla percezione dell’inclinazione e della direzione di pendenza, adeguandosi alle mutevoli necessità dello stare eretti.

Fare Karate significa anche imparare a flettere, estendere e ruotare il piede, adattandolo al fine di ottenere un impatto efficace sul bersaglio. Un altra delle ragioni che chiariscono perché i praticanti di Karate non usino protezioni ai piedi affonda le sue radici nel passato, quando i Samurai divennero imbattibili nell’uso della spada, si chiesero cosa sarebbe stato di loro se fossero stati sorpresi e disarmati. Di qui la necessità di imparare ad usare il corpo come un’arma e vennero sviluppate le prime tecniche a mano nuda: la loro evoluzione e quella delle forme di lotta che in esse si fusero, portò alla codificazione di sistemi di combattimento a mano disarmata (vuota) sempre più complessi che scaturirono nel Judō, nell’Aikidō e nel Karate (giapponese).

Lo stare a piedi nudi è un segno di umiltà, rispetto e volontà di affrontare l’allenamento con la mente vuota “MuShin” dalle preoccupazioni quotidiane e pronta quindi a percepire ed applicare gli insegnamenti del Maestro.